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146 timoleone
e s’ei cotanto era giá fatto iniquo

da contender con te; strappato il crine,
tu lagrimosa, in vedovile ammanto,
lacera il volto e il sen, che non uscivi
di questo ostel contaminato e tristo?
I tuoi nipoti teneri, e non rei
del tirannico padre, al fianco trarti
per man dovevi al tuo partirne; e teco
lor madre trarne addolorata; ai buoni
spettacol grato di virtude antiqua:
ed appo me, presso il tuo vero figlio,
te ricovrar con essi; e fra suoi sgherri
abbandonare a se stesso il tiranno:
dell’usurpato suo poter non rea
altamente gridarti; e orribil taccia
torti cosí d’esserne entrata a parte. —
Ciò fatto hai tu? Retto avrebb’egli a tanto?...
Certo ei sprezzò, che dispregiar dovea,
lagrime imbelli, e femminil lamento.
Demar. Figlio,... temei... Deh! m’odi...
Timol.   Udirti ei debbe..
Demar. Io paventai farlo piú crudo, all’ira
spingendolo: mi volsi, e ancor mi volgo
a te, cui danno può maggior tornarne;
a te...
Timol.   Tu temi? Or, se il timor t’è guida,
se il loco in te del patrio amor tien egli;
sappi, che danno, irreparabil danno,
a lui sovrasta, e non a me; che solo,
sol questo dí, se il vuoi salvar, ti avanza.
Demar. Che sento?... Oimè!...
Timol.   Sí; questo dí, cadente
giá ver la notte... Amo il fratel; ma l’amo
d’amor dal tuo diverso: in cor ne piango,
bench’io non pianga teco. A te feroce
io parlo, perché v’amo... Omai non tremo