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ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

Demarista, Timoleone.

Timol. Del tuo senno a raccorre io vengo il frutto.

Da ch’io piú non ti vidi, Archida solo
svenato cadde: il tuo garrir gran freno
posto ha finora al tuo superbo figlio:
or, certamente, rammollito, e affatto
cangiato il cor tu gli hai: ciò che non fero
gl’inefficaci detti miei fraterni,
le universali grida, il comun pianto,
le rampogne amichevoli, e i rimorsi
cocenti interni, al fin di madre il fanno
i virtuosi ed assoluti preghi.
Demar. ... Figlio, sa il ciel, s’io caldamente all’opra
mi accingessi; ma scoglio havvi sí fermo
quanto il cor di Timofane? Del regno
gustato egli ha; né preghi omai, né pianti,
né ragion, né possanza havvi, che il cangi.
Io teco ancor quí favellando stava,
ch’ei, lasciatine appena, a cruda morte
Archida por facea. Che valser detti,
dopo tali opre? Invan parlai; persiste
Timofane vie piú... Deh! tu, che umano
e saggio sei, cedi per or tu dunque