Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/143


atto terzo 137
porto; non vesto ancor timida maglia;

securo io stommi, al par di te. — Che tardi?
Ferisci, su. L’odio, che in sen tu nutri
contro a’ tiranni, entro il mio sangue or tutto
sfogalo tu: se il tuo giust’odio io merto,
io non ti son fratello. — Il poter mio,
niun uomo al mondo omai può tormel: solo
puoi tu la vita, e impunemente, tormi.
Timol. No, non terrai tu la esecrabil possa,
se non uccidi me. Giá tu passeggi
alto nel sangue; or resterai tu a mezzo?
Oltre ti spingi: di Corinto al trono
per questo solo petto mio si sale:
altra via quí non è.
Timof.   Giá mi vi seggo,
e illeso stai. La mia cittá, mie forze,
tutto conosco: e giá tropp’oltre io giunsi,
per arretrarmi. A me non v’ha quí pari,
altri che tu. Mi fora infamia espressa
minor rifarmi de’ minori miei;
ma di te, il posso; e dove il vogli, io ’l voglio.
Quí libertade popolar risorta
non si vedrá, mel credi. A te par reo
il governo d’un sol; ma, se quell’uno
ottimo fosse, il regger suo nol fora?
Quell’un, sii tu; de’ miei delitti godi;
Corinto in te quant’io le tolsi acquisti;
io pregierommi d’esserti secondo.
Timol. Tuoi scellerati detti al cor piú fera
punta mi son, che noi saria il coltello,
con cui tu in libertade Archida hai posto.
Uccidi tu; ma ad uom che Greco nacque,
non insegnar tu servitú, né regno.
Passeggere tirannidi a vicenda
macchiato, è vero, ogni contrada han quasi
di questa terra a libertá pur sacra: