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116 timoleone
temer tu donna, e imprender io.

Demar.   Mi è grata
questa tua audace militar fierezza;
né me privata cittadina io tengo;
me, di due grandi madre, onde sol uno
piú che bastante fora a me far grande
sovra ogni greca madre. Altro non bramo
che a te veder Timoleone al fianco
d’accordo oprar col tuo valor suo senno.
Timof. Timoleon forse in suo cor finora
non dissente da me; ma il passeggero
odio, che a nuove cose ognor tien dietro,
niega addossarsi; e me frattanto ei lascia
solo sudar nel periglioso aringo.
Echilo T’inganni in ciò, giá tel diss’io: non lauda
egli il tuo oprar; se il fesse, avresti meno
nimici, assai.
Demar.   Ben parli; ed a ciò vengo.
Timoleone a te minor sol d’anni,
puoi tu sdegnarlo in ogni impresa tua
secondo a te? Dolcezza è in lui ben atta
a temprar tuo bollore. In me giá veggo
bieco volger lo sguardo orbate madri,
orfani figli, e vedove dolenti;
in me, cagion del giusto pianger loro.
Molti han morte da te: se a dritto uccidi,
perché ten biasma il fratel tuo? se a torto,
perché il fai tu? Loco a noi dia quí primo,
non la piú forza, la piú gran virtude.
De’ figli miei sulle terribili orme
si pianga, sí, ma dai nemici in campo;
di gioja esulti il cittadin sui vostri
amati passi; e benedir me s’oda
d’esservi madre.
Timof.   In campo, ove dá loco
solo il valore, il loco a noi primiero