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114 timoleone
se a raffermar nella cittá la pace,

forza è tai mezzi usar, ch’altro poss’io?
Gli stessi miei concittadini han fermo
che pendessero ognor sol dal mio cenno
ben quattro cento brandi. Alcune io mieto
illustri, è ver, ma scellerate teste:
teste, che a giusta pubblica vendetta
eran dovute giá; del lor rio seme
gente assai resta, che gran tempo avvezza
a vender se, la sua cittá, i suoi voti,
va di me mormorando. Ostacol troppo
a lor pratiche infide è il poter mio;
quindi ogni astio, ogni grido, ogni querela.
Echilo Confusíon, discordia, amor di parte,
e prepotenza di ottimati, or quasi
a fin ci han tratti, è vero. Omai qual forma
di reggimento a noi piú giovi, io forse
mal dir saprei: ma dico, e il dicon tutti;
che mai soffrir, mai non vogliam tal forma,
che non sia liberissima. I tuoi mezzi
a raffermar la interna pace, assai
piú grati avrei, se men costasser sangue.
Timof. Per risparmiarne, anco talor sen versa.
Da infetto corpo le giá guaste membra
s’io non recido, rinsanir pon l’altre?
De’ piú corrotti magistrati ho sgombra
giá in parte la cittá: tempo è, che al fonte
di tanto mal si vada, e con piú senno
a repubblica inferma or si soccorra
d’ottime leggi. Se tiranno è detto
chi le leggi rinnova, io son tiranno;
ma se, a ragion, chi le conculca tale
si appella, io tal non sono. Ogni opra mia,
esecutrice è del voler dei molti:
dolgonsi i pochi; e che rileva?
Echilo   E pochi
saran, se il fratel tuo, quel senza pari