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104 ottavia
Me dall’infamia e dai martír, deh! salva:

da morte, il vedi, ogni sperarlo è vano.
Salvami, deh! pietade il vuole...
Seneca   E quando...
io pur volessi,... in sí brev’ora,... or... come?...
Meco un ferro non ho; giunge a momenti
Nerone...
Ottav.   Hai teco il velen sempre: usbergo
solo dei giusti in queste infami soglie.
Seneca Io,... con me?...
Ottav.   Sí; tu stesso, altra fíata,
tu mel dicesti. I piú segreti affetti
del travagliato animo tuo, qual padre
tenero a figlia, a me svelavi allora.
Rimembra, deh! ch’io teco anco ne piansi. —
Ma, il nieghi? Io giá maggior di me son fatta.
Necessitá fa prodi anco i men forti.
Giunge or ora Nerone; al fianco ei sempre
cinge un acciaro: io mi v’avvento, e il traggo,
e men trafiggo... La mia destra forse
mal servirammi: io ne farò pur l’atto.
Di aver tentato di trafigger lui,
mi accuserá Nerone: e ad inaudita
morte dannar tu mi vedrai...
Seneca   Deh! donna,
quai strali di pietade a me saetti?...
Per me il vorrei... Ma,... t’ingannasti; io meco
non ho veleno...
Ottav.   ...E ognor non rechi in dito
un fido anello? eccolo; il voglio...
Seneca   Ah! lascia...
Ottav. Invano... Io ’l tengo. Io ne so l’uso: ei morte
ratta, e dolce rinserra...
Seneca   Il ciel ne attesto...
deh! ten prego,... mel rendi... Or, s’altra via...
Ottav. Altra non resta. Eccolo schiuso... Io tutta