Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/59


risposta dell’autore 53

tura accusativo di sospettare; ma questo equivoco non può cadere in chi ha senso: per chi non lo ha fra i lettori, c’è una bella e buona virgola tra sospettar e natura, che le distingue; per chi non ha senso fra gli spettatori, io devo supporre un attore che lo abbia, e che faccia una semi-pausa fra sospettar e natura, e poi un attacco vicinissimo tra natura e fassi, per cui ogni piú stupido verrá ad intendere, che il sospettare sempre si fa natura in chi regna. L’attore avrá anche fatto la semi-pausa tra il regna e il sempre, come lo stampatore la virgola. E mi pare che la sentenza cosí espressa verrá piú energica e corta; e per non essere posta in un sol verso, verrá anche non cantata; che tutte tre queste qualitá vogliono avere le sentenze in tragedia, oltre la prima, dell’esser poche.

Passo poi, e di volo, dove ella, parlando di Dante, tre versi me ne cita, in cui sono le parole springava con ambo le piote: ed io, benché entusiasta di Dante, queste non lodo, e non credo di essermi servito né di queste, né di simili; come né anche credo che Dante scrivendo adesso le direbbe. Onde non potendo io credere ch’ella abbia voluto attaccar Dante, né avendo quel sovrumano ingegno bisogno della mia difesa, di piú non dirò circa a questo: come altresí non addurrò, perché troppo manifeste, le prove tante per cui io la potrei convincere che la nostra lingua, diversa da tutte le altre nelle vicende sue, è nata gigante, e direi, come Pallade dalla testa di Giove, tutta armata. Cosí pure dimostrarle potrei, che questo è il secolo che veramente balbetta, ed anche in lingua assai dubbia; che il secento delirava, il cinquecento chiacchierava, il quattrocento sgrammaticava, ed il trecento diceva. Ma passerò oltre al suo scritto dove ella poi viene a parlare dell’abuso dei pronomi, tralasciando dove parla degli articoli, che giá mi sono spiegato sovr’essi. Glie la do vinta quanto ai pronomi, e giá son tolti dai due primi atti del Filippo i due t’hai tu che sono stati il Sibolet degli Effraimíti, che facea gridar contro loro; muoja. Son tolte molte ripetizioni fastidiose d’i’ ed io, lasciatene però alcune; prima perché non occupano luogo, poi perché poche danno alle volte forza, alle volte grazia, son della lingua, ed a recita massime fanno bene, come mi sono avveduto nell’Antigone.

Non temi, e non chiedi, pare a me che dovrebbero essere i retti imperativi toscani, e che il dire coll’infinito non chiedere, e non temere per imperativi, benché sia uso di lingua, non dee, né può mai filosoficamente escludere l’altro: onde io a vicenda ho adoprato i due modi; e ciò per variare, e spesse volte abbreviare.