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lettera di ranieri calzabigi | 31 |
Le glorie tue a lei racconta, e dille |
In Romeo e Giulietta nella scena quarta del quint’atto, alla sua sposa, che morta crede nella tomba, e prima di bere il veleno, cosí parla Romeo:
«Oh amor mio! oh mia sposa! La morte, che ha succhiato il mele de’ tuoi fiati, non ha ancora acquistato potere sulla tua bellezza; no, ancora non sei vinta dalla morte; ancora l’insegna della beltá spiega le sue porpore sulle tue guance e sulle tue labbra, e la pallida bandiera della morte fin lá ancora non s’inoltra... Ah cara Giulietta! perché sei ancora cosí bella?... Io voglio sempre rimaner teco, e non partir mai da questo nero albergo. Quí, fermar voglio il mio sempiterno riposo, e scuotere il giogo delle avverse stelle, che son stanco di soffrire. Occhi miei, saziate i vostri ultimi sguardi; prendete, o mie braccia, i vostri amplessi estremi; e voi, mie labbra, voi porte della vita, con un pudico bacio sigillate il mio eterno contratto colla morte.»
Questo spirito tragico di Shakspeare, signor Conte degnissimo, se in lei è passato, come io penso, si è molto migliorato; profittando delle sue piú estese cognizioni, e di quelle del secolo in cui viviamo. Cosí troviamo in lei quello, che allora mancò al poeta inglese, per moderare la sua sregolata fantasia, e ristringerla fra’ limiti del verisimile e del decente, e produrre in tal guisa perfette e ammirabili tragedie.
Non mi rimane, che a parlarle dello stile poetico delle medesime. Ho giá detto che lo stile è il colorito della poesia; lo è dunque della poesia tragica. Ha essa ancora le sue bellezze poetiche, il suo fuoco poetico: dello scrittore di tragedie abbiamo da poter dire in certi luoghi, in alcune situazioni:
Fervet, immensusque ruit: |
anche al suo stile deve potersi dare l’epiteto d’immaginoso1, d’impetuoso, di sonoro, di florido:
Monte decurrens velut amnis, |