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atto secondo 349
Oreste   Il cielo

fa di lei lunga, terribil vendetta;
quella che a noi natura non concede.
Ma pure ella debb’oggi, o madre, o moglie
essere, il de’; quando al suo fianco, a terra
cader vedrá da me trafitto il reo
vile adultero suo.
Elet.   Misera madre!
vista non l’hai;... chi sa?... in vederla...
Oreste   Udito
ho il padre; e basta.
Elet.   Eppure un cotal misto
ribrezzo in cor tu proverai, che a forza
pianger faratti, e rimembrar che è madre.
Ella è mite per me; ma Egisto vile,
che a’ preghi suoi sol mi serbò la vita,
quanto piú può mi opprime. Il don suo crudo
io pur soffrii, per aspettare il giorno,
che il ferro lordo del paterno sangue
rendessi a te. Questa mia destra armarne
piú volte io volli, abbenché donna: al fine
tu giungi, Oreste; e assai tu giungi in tempo;
ch’oggi Egisto, per torre a se il mio aspetto,
mi vuol d’un de’ suoi schiavi a forza sposa.
Oreste Non invitato, all’empie nozze io vengo:
vittima avran non aspettata i Numi.
Elet. Si oppon, ma invano, Clitennestra.
Oreste   In lei,
dimmi, fidar nulla potremmo?
Elet.   Ah! nulla.
Benché fra ’l vizio e la virtude ondeggi,
si attiene al vizio ognora. Egisto al fianco
piú non le stando,... allor,... forse.... Fa d’uopo
vederla poi. Meco ella piange, è vero;
ma, col tiranno sta. Sua vista sfuggi,
finché non torni Egisto.