Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
342 | oreste |
esser sua morte il sol nomarla noi.
Sai, che in tutt’altro aspetto in Argo trarti
Strofio ei stesso potea con gente ed arme;
ma guerra aperta, anco felice, il regno,
e nulla piú, ti dava: intanto il vile
traditor ti sfuggiva; e alla sua rabbia,
(se giá svenata ei non l’avea) restava
Elettra; la sua amata unica suora;
quella, cui dei l’aure che spiri. Or vedi,
se vuolsi ir cauti: alto disegno è il tuo;
piú che di regno assai: deh! tu primiero
nol rompere. Chi sa? pentita forse
la madre tua...
Oreste Di lei, deh, non parlarmi.
Pilade Di lei, né d’altri. — Or non ti chieggo io nulla,
che d’ascoltar mio senno. Il ciel, che vuolmi
a te compagno, avverso avrai, se il nieghi.
Oreste Fuorché il ferir, tutto a te cedo; io ’l giuro.
Vedrò del padre l’uccisore in volto,
vedrollo, e il brando io tratterrò: sia questo
di mia virtude il primo sforzo, o padre,
che a te consacro.
Pilade Taci; udir mi parve
lieve rumore... Oh! vedi? in bruno ammanto
esce una donna della reggia. Or vieni
meco in disparte.
Oreste Ella ver noi si avanza.
SCENA SECONDA
Elettra, Oreste, Pilade.
libera andar posso ad offrir... Che veggio?
Due, che all’abito, al volto io non ravviso...