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atto secondo 339
e il perché non sapea: Strofio piangente

con la sua man vietando iva i miei stridi;
e mi abbracciava, e mi rigava il volto
d’amaro pianto; e alla romita spiaggia,
dove or ora approdammo, ei col suo incarco
giungea frattanto, e disciogliea felice
le vele al vento. — Adulto io torno, adulto
al fin; di speme, di coraggio, d’ira
torno ripieno, e di vendetta, donde
fanciullo inerme lagrimando io mossi.
Pilade Quí regna Egisto, e ad alta voce parli
quí di vendetta? Incauto, a cotant’opra
tal principio dai tu? Vedi; giá albeggia;
e s’anco eterne qui durasser l’ombre,
mura di reggia son; sommesso parla:
ogni parete un delator nel seno
nasconder può. Deh! non perdiamo or frutto
dei voti tanti, e dell’errar sí lungo,
che a questi lidi al fin ci tragge a stento.
Oreste O sacri liti, è ver, parea che ignota
forza da voi ci respingesse: avversi,
da che l’ancore sciolto abbiam di Crissa,
i venti sempre, la natal mia terra
parean vietarmi. A mille a mille insorti
nuovi ostacoli ognor, perigli nuovi,
mi fean tremar, che il dí mai non giungesse
di porre in Argo il piè. Ma giunto è il giorno;
in Argo sto. — S’ogni periglio ho vinto,
Pilade egregio, all’amistá tua forte,
a te lo ascrivo. Anzi ch’io qui venissi
vendicator di sí feroce oltraggio,
forse a prova non dubbia il ciel volea
porre in me l’ardimento, in te la fede.
Pilade Ardir? ne hai troppo. Oh! quante volte e quante
tremai per te! Presto a divider teco
ogni vicenda io sono, il sai; ma pensa,