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atto quarto 311
tremarne, a me. — Cessiamo: omai si avanza

l’ora; e il mio lungo ragionar potria
a sospetto dar loco. — Al fin ricevi...
l’ultimo addio... d’Egisto.
Cliten.   Ah! m’odi... Atride solo
all’amor nostro,... al viver tuo?... Sí; nullo
altro ostacolo v’ha: pur troppo a noi
il suo vivere è morte!
Egisto   A mie parole,
deh, non badare: amor fe dirle.
Cliten.   E amore
a me intender le fa.
Egisto   D’orror compresa
l’alma non hai?
Cliten.   D’orror?... sí;... ma lasciarti!...
Egisto E cor bastante avresti?...
Cliten.   Amor bastante,
da non temer cosa del mondo.
Egisto   In mezzo
de’ suoi sta il re: qual man, qual ferro, strada
può farsi al petto suo?
Cliten.   Qual man?... qual ferro?...
Egisto Saria quí vana, il vedi, aperta forza.
Cliten. Ma,... il tradimento... pure...
Egisto   È ver; non merta
d’esser tradito Atride: ei, che tant’ama
la sua consorte: ei, che da Troja avvinta
in sembianza di schiava, infra suoi lacci
Cassandra trae, mentr’ei n’è amante, e schiavo
ei stesso, sí...
Cliten.   Che ascolto!
Egisto   Aspetta intanto,
che di te stanco, egli con lei divida
regno e talamo: aspetta, che a’ tuoi danni
l’onta si aggiunga; e sola omai, tu sola,
non ti sdegnar di ciò che a sdegno muove