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294 agamennone
oh quante notti in rimembrarmi spese!...

Ed io pur, sí, tra le vicende atroci
di militari imprese; io, sí, fra ’l sangue,
fra la gloria, e la morte, avea presenti
voi sempre, e il palpitare, e il pianger vostro,
e il dubitare, e il non sapere. Io spesso
chiuso nell’elmo in silenzio piangeva;
ma, nol sapea che il padre. Omai pur giunge
il fin del pianto: e Clitennestra sola
al mesto aspetto, al lagrimoso ciglio,
piú non ravviso.
Cliten.   Io mesta?...
Elet.   Ah, sí; di gioja,
quand’ella è troppa, anco l’incarco opprime,
quanto il dolore. O padre, or lascia ch’ella
gli spirti suoi rinfranchi. Assai piú dirti
vorria di me, quindi assai men ti dice.
Agam. Né ancor d’Oreste a me parlò...
Cliten.   D’Oreste?...
Elet. Deh! padre, vieni ad abbracciarlo.
Agam.   Oreste,
sola mia speme, del mio trono erede,
fido sostegno mio; se al sen paterno
ben mille volte non ti ho stretto pria,
non vo’, né un solo istante, alle mie stanche
membra conceder posa. Andiam, consorte;
ad abbracciarlo andiam: quel caro figlio,
che a me non nomi, e di cui pur sei madre;
quello, ch’io in fasce piangente lasciava
mal mio grado partendo... Or di’: cresc’egli?
Che fa? somiglia il padre? ha di virtude
giá intrapreso il sentier? di gloria al nome,
al lampeggiar d’un brando, impazíente
nobile ardor dagli occhi suoi sfavilla?
Cliten. Più rattener non posso il pianto...
Elet.   Ah! vieni,