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288 agamennone
obliarmi, n’hai tempo; oscuro io nacqui,

lascia che oscuro io pera: al mio destino,
qual ch’ei sia, m’abbandona: eterno esiglio
mi prescrivo da te. L’antico affetto
rendi al consorte tuo: di te piú degno
se amor nol vuol, fortuna, i Numi il vonno.
Cliten. Numi, ragion, fortuna, invano tutti
all’amor mio contrastano. O a’ miei preghi
tu questo dí concedi, o ch’io co’ detti
ogni pietosa tua cura deludo.
Incontro a morte, anco ad infamia incontro,
io volontaria corro: al fero Atride
corro a svelar la impura fiamma io stessa,
ed a perdermi teco. Invan divisa
dalla tua sorte speri la mia sorte:
se fuggi, io fuggo; se perisci, io pero.
Egisto Oh sfortunato Egisto!
Cliten.   Or via, rispondi.
Puoi tu negare ad amor tanto, un giorno?
Egisto Chieder mel puoi? Che far degg’io?
Cliten.   Giurarmi,
di non lasciar d’Argo le mura, innanzi
che il sol tramonti.
Egisto   A ciò mi sforzi? — Io ’l giuro.


SCENA SECONDA

Elettra, Clitennestra, Egisto.

Elet. Ecco sereno il dí; caduto ai venti

l’orgoglio, e queto il rio mugghiar dell’onda.
Nostra speme è certezza: in gioja è volto
ogni timore. Il sospirato porto
per afferrar giá stan le argive prore;
e torreggiar le antenne lor da lungi
si veggon, dense quasi mobil selva.