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atto primo 279
Cliten. E, s’ei pur torna, agli odj antichi or fine

posto avranno i suoi nuovi alti trofei:
re vincitor non serba odio a nemico,
di cui non teme.
Egisto   ...È ver, che a niun tremendo
son io, per me; ch’esule, solo, inerme,
misero, odiarmi Agamennón non degna;
ma dispregiar mi puote: a oltraggio tale
vuoi ch’io rimanga? a me il consigli, e m’ami?
Cliten. Tu m’ami, e il rio pensier pur volger puoi
d’abbandonarmi?
Egisto.   Il lusingarti è vano,
regina, omai. Necessitá mi sforza
al funesto pensiero. Il signor tuo,
ove obliar volesse pur le offese
del padre mio, sperar puoi tu ch’ei voglia
dissimulare, od ignorar l’oltraggio,
che all’amor suo si fa? Sfuggir tua vista
io dovria, se qui stessi; e d’ogni morte
vita trarrei peggiore. Al tuo cospetto
s’io venissi talvolta, un solo sguardo,
solo un sospiro anco potria tradirmi:
e allor, che fora? È ver, pur troppo! un solo
lieve sospetto in cor del re superbo
rei ne fa d’ogni fallo. A me non penso,
nulla temo per me; d’amor verace
darti bensí questa terribil prova
deggio, e salvarti con l’onor la vita.
Cliten. Forse, chi sa? piú che nol credi, or lungi
tal periglio è da noi: giá rinnovate
piú lune son, da che di Troja a terra
cadder le mura; ognor sovrasta Atride,
e mai non giunge. Il sai, che fama suona,
da feri venti andar divisa, e spersa,
la greca armata. Ah! giunto è forse il giorno,
che al fin vendetta, ancor che tarda, intera