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atto quinto 267
Virg.o Vanne; alle inermi donne esser dei scorta:

fa, che tra ’l volgo mescansi i tuoi prodi;
meglio è ch’Appio al venir me sol ritrovi,
miste parole io gli vo’ dare; intanto
n’andrò adocchiando il piú opportuno posto,
donde l’empio si assalga. Io quí t’attendo:
nel ritornar, deh! non mostrarti audace
soverchiamente: il tuo furor raffrena
per poco; ei tosto scoppierá quí tutto.


SCENA SECONDA

Virginio.

Oh figlia!... Oh Roma! — Omai null’altro io temo,

che del bollente Icilio il valor troppo.


SCENA TERZA

Appio, Virginio.

Appio Di’; risolvesti al fine?

Virg.o   È già gran tempo.
Appio Qual padre il de’?
Virg.o   Qual roman padre il debbe.
Appio Rotto ogni nodo hai con Icilio dunque?
Virg.o Stringonmi a lui tre forti nodi.
Appio   E sono?
Virg.o Sangue, amistá, virtú.
Appio   Perfido! il sangue
scorrerá dunque ad eternarli.
Virg.o   Io presto
son col sangue a eternarli. — Invan, m’è noto,
ti si resiste: io, la sentenza udita,
pria che veder tormi la figlia, a morte
ir m’apparecchio; altro non posso: i Numi,