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atto secondo 235
ad uom ch’Appio non fosse: ma, chi nato

si sente al regno, e regno vuole, o morte,
temer non sa, né sa cangiar sue voglie.


SCENA SECONDA

Appio, Icilio, Virginia, Numitoria, Popolo, Littori.

Appio Quai grida ascolto? Al rispettabil seggio

decemviral viensi cosí?
Popolo   Ti chiede
Roma giustizia.
Appio   Ed ai Romani io chieggo
rispetto, e modo. A popolar salvezza,
non men che freno a popolar licenza,
qui meco siede Astréa: tacitamente
queste impavide scuri, ond’io mi cingo,
vel dicon, parmi. E che? il poter sovrano,
che a me voi deste, or l’obbliate voi?
Di Roma in me la maestá riposta
tutta non è da voi? — Piacciavi dunque
in me, ven prego, rispettar voi stessi.
Numit. Appio, al cospetto tuo vedi una madre
misera, a cui la figlia unica vuolsi
torre da un empio; la mia figlia vera,
da me nudrita, al fianco mio cresciuta,
amor del padre, e mio. V’ha chi di schiava
l’osa tacciar: v’ha chi rapirla tenta,
strapparla dai mio seno. Il nuovo eccesso
fremer, tremare, inorridir fa Roma:
me di furor riempie... Eccola: è questa;
sola mia speme: in lei beltade è molta;
ma piú virtú. Roma i costumi nostri,
e i modi, sa: nulla è di schiavo in noi. —
Per me fia chiaro oggi un terribil dubbio:
di Roma intera io tel richieggo a nome;