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atto quarto 203
quant’è, tra poco. Abbenché il punto ancora

del tuo morir giunto non sia, ti voglio
pur compiacer nell’affrettarlo. — Vanne,
Eurimedonte; va; traggila tosto,
all’apprestato palco.


SCENA SECONDA

Emone, Antigone, Creonte, Guardie.

Emone   Al palco? Arresta...

Antig. Oh vista!... Or, guardie, or vi affrettate; a morte
strascinatemi. Emon,... lasciami;... addio.
Emone Trarla oltre piú nessun di voi si attenti.
Creon. E che? minacci, ove son io?...
Emone   Deh padre!...
Cosí tu m’ami? cosí spendi il giorno
concesso a lei?...
Creon.   Precipitar vuol ella;
negargliel posso?
Emone   Odi; oh! non sai? ben altro
a te sovrasta inaspettato danno.
D’Atene il re, Teséo, quel forte, è fama
che a Tebe in armi ei vien, degli insepolti
vendicatore. A lui ne andar le Argive
vedove sconsolate, in suon di sdegno
e di pietá piangenti. Udia lor giuste
querele il re: l’urne promesse ha loro
degli estinti mariti; e non è lieve
promettitor Teséo. — Padre, previeni
l’ire sue, l’onta nostra. A te non chieggio
che t’arrendi al timor; bensí ti stringa
pietá di Tebe tua: respira appena
l’aure di pace; ove a non giusta guerra
correr pur voglia in favor tuo, qual prode
or ne rimane a Tebe? I forti, il sai,