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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Creonte, Emone.

Creon. Ma che? tu sol nella mia gioja, o figlio,

afflitto stai? Di Tebe al fin sul trono
vedi il tuo padre; e tuo retaggio farsi
questo mio scettro. Onde i lamenti? duolti
d’Edippo forse, o di sua stirpe rea?
Emone E ti parria delitto aver pietade
d’Edippo, e di sua stirpe? A me non fia,
nel dí funesto in cui vi ascendi, il trono
di cosí lieto augurio, onde al dolore
chiuda ogni via. Tu stesso un dí potresti
pentito pianger l’acquistato regno.
Creon. Io piangerò, se pianger dessi, il lungo
tempo, che a’ rei nepoti, infami figli
del delitto obbedia. Ma, se l’orrendo
lor nascimento con piú orrenda morte
emendato hanno, eterno obblio li copra.
Compiuto appena il lor destin, piú puro
in Tebe il sol, l’aer piú sereno, i Numi
tornar piú miti: or sí, sperar ne giova
piú lieti dí.
Emone   Tra le rovine, e il sangue
de’ piú stretti congiunti, ogni altra speme,
che di dolor, fallace torna. Edippo,