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178 antigone
di morte, sí. Vedova sei; qual sposo

perdesti, il so: ma tu, figlia non nasci
d’incesto; ancor la madre tua respira;
esul non hai, non cieco, non mendico,
non colpevole, il padre: il ciel piú mite
fratelli a te non dié, che l’un dell’altro
nel sangue a gara si bagnasser empj.
Deh! non ti offender, s’io morir vo’ sola;
io, di morir, pria che nascessi, degna.
Deh! torna in Argo... Oh! nol rimembri? hai pegno
lá del tuo amor; di Polinice hai viva
l’immagin lá, nel tuo fanciullo: ah! torna;
di te fa lieto il disperato padre,
che nulla sa di te; deh! vanne: in queste
soglie null’uom ti vide; ancor n’hai tempo.
Contro al divieto io sola basto.
Argia   ...Il figlio?...
Io l’amo, ah! sí; ma pur, vuoi tu ch’io fugga,
se quí morir si dee per Polinice?
Mal mi conosci. — Il pargoletto in cura
riman di Adrasto; ei gli fia padre. Al pianto
il crescerei; mentre a vendetta, e all’armi
nutrir si de’. — Non v’ha timor, che possa
tormi la vista dell’amato corpo.
O Polinice mio, ch’altra ti renda
gli ultimi onori?...
Antig.   Alla tebana scure
porger tu il collo vuoi?
Argia   Non nella pena,
nel delitto è la infamia. Ognor Creonte
sará l’infame: del suo nome ogni uomo
sentirá orror, pietá del nostro...
Antig.   E tormi
tal gloria vuoi?
Argia   Veder io vo’ il mio sposo;
morir sovr’esso. — E tu, qual hai tu dritto