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atto secondo 129
fratel, se il rendi; aspro, implacabil, crudo

mi avrai nemico, ove tu il nieghi. — Espresso
eccoti, e chiaro il pensier mio. La terra
parla, ed il cielo, in mio favor; sí, il cielo,
giá testimon dei giuramenti alterni,
seconderá questo mio brando, io spero;
e lo spergiuro ei punirá.
Eteoc.   Gli Dei
che chiami or tu de’ tuoi delitti a parte?
L’armi fraterne hanno in orror: fia segno
a lor vendetta chi primier le strinse.
Polin. Perfido, il nome or di fratel rammenti?
Or, che mi sforzi alla fraterna guerra,
ne senti orror? Ma, non sei tu quel desso,
che orror di spergiurarti non sentivi?
Quest’armi inique, il mancator di fede
primo le stringe. È tua la guerra; è tuo,
di te solo è il delitto...
Gioc.   Alme feroci,
questa è la pace? — Uditemi, ven priego,
udite...
Eteoc.   In trono io seggo; io re, ti dico,
che fin che Adrasto e gli Argivi abborriti
stringon Tebe, di pace io no, non odo
proposta niuna; e te non soffro innanzi
al mio regio cospetto.
Polin.   Ed io, rispondo
a te, che il trono usurpi, e re ti nomi;
rispondo io quí, che rimarran gli Argivi,
ed io con lor, se non attieni pria
tuo giuramento tu.
Eteoc.   Madre, tu l’odi:
odi mercé, che a’ suoi delitti implora. —
Che fai tu in Tebe? Escine dunque.
Polin.   In Tebe
me rivedrai; ma in altro aspetto: agli empj


 V. Alfieri, Tragedie - I. 9