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atto primo 117
Antig.   Ambo giuraro: un sol l’attenne;

e fuor del trono ei sta. Tumido il preme
lo spergiuro Eteócle; e di tradita
fede ei raccoglie il frutto iniquo. Astretto
a mendicar dalle straniere genti
Polinice soccorsi, all’ire sue
qual fin, s’ei non ha regno? E a forza darlo
come vorrá chi può tenerlo a forza?
Gioc. Ed io, non sono? aver tra lor può loco
l’ira, se in mezzo io sto? Deh! non mi torre
la speme mia! — Per quanto or fama suoni,
che a sostener dell’esul Polinice
gl’infranti dritti, d’Argo il re si appresti;
per quanto altero, ed ostinato seggia
sul trono l’altro; in me, nel petto mio,
nel pianto mio, nel mio sdegno rimane
forza, che basti a raffrenarli. Udrammi
il re superbo rammentar sua fede
giurata invano; e Polinice udrammi
rammentar, ch’ei pur nacque in questa Tebe,
ch’or col ferro egli assal... Che piú? mi udranno,
se mi vi sforzan pur, lo infame loro
nascimento attestar: né l’empie spade
troveran via fra lor, se non pria tinte
entro al sangue materno.
Antig.   Omai, s’io spero,
spero in quel che non regna: era ei pur sempre
miglior, d’assai; né il cor da esiglio lungo
aver può guasto mai, quanto il fratello
dal regnar lungo...
Gioc.   Assai miglior tu estimi
l’esule? eppur dal filíal rispetto
finor non veggio al par di lui spogliarsi
Eteócle: ei non m’ha straniera nuora,
senza il mio assenso, data; egli di Tebe
non ricorre ai nemici...