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4 lettera di ranieri calzabigi

stomachevole, che in Parigi produrrebbero le tragedie stesse di Racine e Voltaire, se recitate vi fossero nel gergo loro da attori guasconi, piccardi, o altri provinciali. Sa ciascuno di noi, a quali ridicole, sgarbate, sconce, e spesso deformi donne, sieno per lo più date in preda le parti sublimi delle Fedre, delle Andromache, delle Semiramidi, delle Zaïre, per lacerarle a mezza lingua in dialetto bolognese, lombardo, o genovese, e recitarle e gestirle senza garbo né grazia, come farebbero le donnicciuole delle piazze.

E in tal guisa la mancanza assoluta di nobile e perpetuo e decente teatro, e quella ben anche più importante di attori idonei, distolsero i nostri poeti dall’applicarsi a comporre la vera tragedia; il pubblico dall’accorrere in folla di persone studiose e distinte allo spettacolo; e noi tutti dal mettervi un’importanza, e farne un oggetto di gloria nazionale.

Di più, divisa l’Italia in tanti piccoli Stati, non ebbe mai un punto grande e centrale, ove riunire un generale e vivo impegno per l’italica ambizione. Il Romano, il Lombardo, il Toscano, il Piemontese, il Veneziano, il Napoletano, si riguardarono come separati d’interessi, e come nemici, o almeno rivali, e nelle scienze e nelle belle arti. Lo furono nella pittura: le diverse scuole si urtarono, si lacerarono fra loro; il romano pittore cercò di deprimere il bolognese, questo il fiorentino, e il fiorentino il veneziano e il napoletano. Ciascuno fece setta a parte, con detrimento generale della nazione.

Tanto accadde appunto nella poesia. Si rammentino in prova le inette critiche fatte dagli insulsi Infarinati al divino poema del Tasso. I libercoli che da que’ signori del buratto (che ben possiamo chiamar burattini) contro quell’immortal poema furono scritti, riempiono una buona scansia. Si accinsero tutti a provare, sotto la bandiera del signor Lionardo, non Leonardo Salviati (per maggiore pretesa eleganza di lingua), che la Gerusalemme liberata era una sguajataggine. Impazzir fecero il troppo irritabile autore, giá per infelice passione attristato e scomposto: sedussero i meschini parolaj invidiosi della sublime corona dal Tasso ottenuta: ebbero un breve corso di vita, come i nocivi insetti fastidiosi; ma poi sprofondarono nell’obblio che meritavano.

Da quella pedantesca genía presero però l’origine i paragoni ridicoli fra l’Orlando furioso e la Gerusalemme: ridicoli, perché mettevano in confronto l’Iliade colle Novelle arabe, l’Eneide co’ romanzi dei paladini di Francia. Di là nacquero le predilezioni puerili