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nota
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Può essere curioso osservare questa singolare differenza di date a opere stampate nello stesso anno: cosa che se si capisce per le Odi (certo de L’America libera) e pel Dialogo (La virtú sconosciuta) per le quali l’anno rappresenta quello della composizione, rimane inesplicabile per le altre opere, che forse intendeva venir pubblicando via via.

Una cosa sola è chiara: che tutta quanta l’edizione è andata dispersa o smarrita, eccetto i due esemplari che l’Alfieri si prese con sé di ciascuna opera. Il Teza (Vita, Giornali, Lettere, Firenze, Lemonnier, 1861, p. 473) afferma che questi si trovavano allora nella Biblioteca del Museo Fabre a Montpellier; ma il Mazzatinti che pur vi fece, una ventina d’anni dopo, diligentissime indagini, non è riuscito a trovarci che un esemplare dell’Etruria vendicata, e uno Del Principe e delle lettere. Sul primo foglio di questo è ripetuta, autografa, la noticina qui sopra stampata: V. A. Balle 2. A1 (260) ecc.

L’A. racconta poi (Vita, IV, 28) 1799: «Mi capitò alle mani un manifesto del libraio Molini, italiano di Parigi, in cui diceva di aver intrapreso di stampare tutte le mie opere (diceva il manifesto, filosofiche, sí in prosa che in versi) e ne dava il ragguaglio; e tutte pur troppo le mie opere stampate in Kehl, come dissi, e da me non mai pubblicate, vi si trovavano per estenso. Questo fu un fulmine che mi atterrò per molti giorni; non giá che io mi fossi lusingato che quelle mie balle di tutta l’edizione delle quattro opere, Rime, Etruria, Tirannide e Principe, potessero non essere state trovate da chi mi aveva svaligiato dei libri e d’ogni altra cosa lasciata in Parigi, ma, essendo passati tanti anni, sperava ancora dilazione. ... Ora nel ’99, udendo questo manifesto del Molini, il quale prometteva per l’8oo venturo la ristampa delle su dette opere, il mezzo piú efficace di purgarmi agli occhi dei buoni e stimabili sarebbe stato di fare un contro manifesto, e confessare i libri per miei, dire il modo con cui m’erano stati furati, e pubblicare, per discolpa totale del mio sentire e pensare il Misogallo, che certo è piú che atto e bastante da ciò».

Ma per evitar probabili fastidi a sé e piú alla contessa d’Albany, si contentò di ripubblicare «l’avviso del ’93, aggiungendovi la poscritta che avendo udito che si pubblicava in Parigi delle opere in prosa e in verso sotto il suo nome, rinnovava quel protesto fatto sei anni innanzi».