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iii. panegirico
 



accolse che di farne per sempre la memoria puranco obliare. E migliore e piú certo e piú efficace mezzo ad ottener tale intento sceglier tu mai non potresti che di tua autoritá, giusta benché illimitata, servendoti, per invariabilmente stabilir libertá; la quale per se stessa poscia i Neroni, i Tiberi e i lor simili non che ammettere all’imperio degli uomini, neppur soffre, direi, che vengano da natura generati tai mostri; o, nati appena, sotto il peso delle leggi e della uguaglianza, nel proprio seno gli estingue.

Ed in prova, osserva, ottimo principe, come a poco a poco la scellerata baldanza, e la inumana stoltezza crescesse in quei regnatori; come il valore di Cesare appianasse la strade alla pusillanimitá d’Augusto; come la lenta, mite e coperta tirannide d’Augusto generasse poi l’astuta e crudele di Tiberio; come da questa finalmente prorompesse poi, senza limiti conoscer piú, la furibonda di Caligola, di Nerone, di Domiziano. E circa a quest’ultimo, osserva che il breve intervallo dell’umano governo di Vespasiano e di Tito, non fu però bastante a togliergli o a menomargli i mezzi di riassumere una intera, sfrenata ed inaudita tirannide. Tristo, orribile e recentissimo esempio che ti avverte, o Traiano, che alla tua bontá, umanitá, giustizia e moderazione, può tra pochi anni sottentrare con intera nostra rovina un mostro niente minore dei sopra nomati. E le crudeltá, le violenze, le rapine, l’onte, le stragi, i mali tutti in somma da quel mostruoso futuro principe fatti, non meno che a lui autore di essi, a te imputati verranno, pur troppo: alla fama tua ne verrá minoramento grandissimo; al tuo stesso nome e memoria grand’odio; poiché potendo, per l’autoritá a te affidata dagli dèi e dal rinascente genio della romana repubblica, restituir libertá e togliere con efficaci leggi e con ingegnosi mezzi per sempre i tiranni, eseguito pure non l’hai. Chi perdonare può a Tito l’essersi lasciato succedere Domiziano? Gli era fratello; ma Roma gli era, o essere doveagli, piú che figlia. Nol poté, nol volle forse egli spegnere, benché quello scellerato contro lui congiurasse; magnanimo in ciò era Tito, ma come privato, non come principe; che se le proprie ingiurie perdonar