Pagina:Alfieri, Vittorio – Della tirannide, 1927 – BEIC 1725873.djvu/258

252
iii. panegirico
 



lontani i tempi che vera e viva memoria non ne rimanga fra noi. Di padre in figlio la dolorosa tradizione delle nostre passate glorie, giunta colla funesta serie dei recenti nostri timori, pericoli, danni e avvilimenti, troppo fra loro manifestamente contrastano, perché ogni buono, spaventato dai moderni tempi, ammiratore non sia e adorator degli antichi. E chi piú di te, principe incomparabile? che, degli antichi emulator virtuoso, a maggior gloria, volendola, riserbato sei dalle calamitá stesse dei tempi; a gloria maggiore, e d’assai, (senza adulare, ad alta voce io tel dico) poiché di gran lunga avanza i piú chiari difensori della libertá colui che volontariamente restitutore se ne fa, potendo egli pure senza contrasto veruno la signoria mantenersi.

Ed oltre la propria gloria, un’altra immensa gliene ridonda poi nel progresso dei secoli da tutte le altrui virtú, che figlie della restituita libertá, come da vivo e puro fonte, dalla gloria e virtú del restitutore si emanano. Né io finora le a te dovute lodi per le tue tante passate magnanime imprese ti ho date; perché lode di gran lunga maggiore, e di te assai piú degna, mi pare averti tacitamente data da che ti favello, o Traiano, nel reputarti capace di quest’una eseguire, cui solamente il tentare piú gloria ti procaccerebbe che l’aver l’altre tutte a fine condotte.

Ma vane parole, e di senno e ragion quasi vuote, mi avverrebbe di spandere al vento se io, prevenendo, per quanto il debole mio ingegno il può, le obbiezioni e difficoltá tutte che in cosí straordinaria rivoluzione s’incontrerebbero, non dimostrassi e le ragioni per cui tu déi farla, ed i mezzi di perfettamente eseguirla e gli ottimi effetti che di necessitá derivar ne dovrebbero.

II

E dalle ragioni incominciando, per cui a rifar la repubblica e disfare ad un tempo la signoria indurre ti voglio, o Traiano, non mi pare inopportuno, benché cosa a tutti noi nota, di