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PANEGIRICO

di Plinio a Traiano

Nobile e generoso incarco da voi, o padri coscritti, mi viene in questo giorno affidato, poiché lodi vere ad un ottimo principe potrò io dare, senza arrossire; ed egli, spero, senza arrossire riceverle. E giorno veramente questo di eterna memoria sará, men lusingo, se io, di romano console la maestá lungamente per la tristizia de’ tempi obbliata riassumendo, saprò dalla sublimitá del soggetto e dalla opportunitá dei tempi, trar cose degne d’essere da voi ascoltate, da me dette, e da te, o Traiano, con quella tua finora mostrata benignitá, approvate.

Ma alla splendida, difficile e per l’addietro pericolosa, impresa di liberamente parlare al principe, piú ragionevole e santo incominciamento non potrei dare che invocando favorevoli i Numi.

Tu dunque, o massimo Giove, che dal celeste tuo seggio per tanti e tanti anni degnasti col tuo benigno sguardo proteggere ed innalzare questa romana repubblica; tu, che in essa tante patrie virtú, tanto coraggio, tante sublimi anime, quasi raggi della tua divinitá, con piena mano spandesti; tu, che poscia, pe’ vizi nostri alle virtú sottentrati, con noi lungamente sdegnato, in preda ci lasciasti meritamente ai Tiberi, ai Neroni, ai Domiziani; tu in somma, che ora impietosito dei continui, feroci ed orribili mali nostri, largo segno della tua risorta pietá