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E ALFIERI 29

decessori suoi tanto fecero per ròmpere e avvilire, e di cui Cervantes raccoglieva nel mesto suo riso la smarrita forma:

Quai sensi!
Quale orgoglio bollente! - Alma sì fatta
Nasce ov'io regno?

E senz'altro mezzo, la prima e l'ùltima novella che abbiamo di Perez è questa:

Perez trafitto more.

E così l'amicizia fa il sacrificio della vita, senza riscòtere il prezzo del secreto; e il nom ed'Isabella non si confida nemmeno alla pietra sepolcrale di Perez. Questa bella e nobil figura, degna di Dante, ci viene inanzi solo per dare il suo cuore e la sua vita. È il vero ideale del cavaliero, come si concepiva in Ispagna, e se si vuole, come si concepiva in quell'altro paese, dove Antonio Foscarini soffriva la tortura, e saliva al patìbolo, piuttosto che palesare il nome d'una donna. Noi sentiamo profondamente il dolce affetto onde ribòccano i versi di Schiller nei bellissimi versi del suo interprete; siamo grati a chi dona alle nostre lèttere questo nuovo tesoro; ma per verità in questo paragone sentiamo l'orgoglio d'essere concittadini d'Alfieri! Sono figure le sue di più nobil metallo. E lasciamo pure che Schlegel, accecato dal suo rancore, non discerna gli evidentissimi e nobilissimi tratti del costume locale, che il viaggiatore Alfieri aveva potuto studiare dal vero, e per maggiore conformità di natura poteva intendere meglio di lui1.

E il Domingo, turpe figura in cui si anticipa di vent'anni la scienza babilònica dell'infame Molina, troppo presto e fin dalla prima scena, osa gettare insidiosi e inverecondi motti a

  1. Ecco le false e odiose parole di Schlegel: «Il Filippo e il Don Garzìa.... non presentano nulla che contrasegni un sècolo e un pòpolo in particolare ... Probabilmente le idee ch'egli aveva fatto dello stile tragico s'opponevano a qualunque determinazione precisa del costume locale.» Schlegel, Corso di Letteratura dramatica, traduzione di G. Gherardini, tomo II, pag. 23.