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LETTERATURA

IL DON CARLO DI SCHILLER

E

IL FILIPPO D'ALFIERI

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Le sventure dei potenti lasciano profonda impressione di stupore e di pietà nelle moltitudini solite ad ammirare e invidiare come pegno di non dubia felicità quella vana grandezza, e pronte a vedere nella repentina sua caduta l'opera d'un'arcana potenza, che ragguaglia ad una legge commune di debolezza e di dolore gli estremi dell'umana fortuna. Le menti raccolgono avide i luttuosi racconti; cercano spiegarsi il secreto di quelle tremende passioni; le adattano al loro modo d'intendere una vita principesca e pomposa; e nel tramandare ai posteri la commozione onde vennero esse primamente ferite, sfrondano i particolari del fatto, e lo vengono inalzando a ideale sublimità. Per tal modo presso ai popoli di più eletto ingegno, la memoria nel corso del tempo procrea le arti; le quali, nei lamenti di Filottete, o nei simulacri di Niobe e Laocoonte, raccolgono

  1. Nota. Questo articolo, scritto in Toscana sulla fine del 1842, quando Andrea Maffei diede alla luce la bella sua versione di Don Carlo, venne inserto nel volume V del Politecnico.
CATTANEO T.I. 1