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viati alle scuole elementari del Comune. — Avete capito, Marianna? Questa è la legge.»
Marianna de’ Caprezzi stava rivoltando lo strame alle bestie e non aveva interrotto il suo lavoro nè dato segno di ascoltare: però all’ultime parole del cursore, rispose brusca brusca:
«Bella novità che mi venite a contare! Di figli ne ho inscritti già cinque alle scuole del Comune, e Nocente è il sesto. Due han già finito se Dio vuole, e possono aiutarmi... per la Savina ci ho il permesso del Sindaco di tenerla a casa se non vuol veder morta di fatica una madre di famiglia, e metter sulle spalle del Comune otto figlioli.»
«Non mettetevi in collera, Marianna. Lo sappiamo tutto il da fare che avete. Ma ora bisogna che ci mettiate rimedio a questo vostro monello che non vuol presentarsi. L’anno scorso ve l’hanno lasciato ancora all’asilo sebbene avesse passata l’età, ma ora...»
«Oh,» rispose la donna «per furberia è un uomo quel bambino, ma per giudizio ne ha come una pera acerba. Ve l’ho a dire? io che sono sua madre, dentro in quegli occhi non ho mai saputo leggere niente. E che ci devo fare, ora? se non vuol venire a scuola se ne stia a casa o dove vuole.»
«Ma no, Marianna, è questo che non si può permettere. Ecco qua: Articolo terzo: I genitori o coloro che ne fanno le veci, se non abbiano adempiuto spontaneamente le prescrizioni della presente legge, saranno ammoniti dal Sindaco ed eccitati a compierle. Se non compariscono all’Ufficio Municipale o non giustificano coll’istruzione procurata diversamente, coi motivi di salute o con altri gravi impedimenti l’assenza dei fanciulli dalla Scuola Pubblica, o non ve li