Pagina:Albini - Il figlio di Grazia, Milano, Vallardi, 1898.djvu/59


— 45 —

tormentava; ma ogni volta era accorso subito dalla signora maestra col viso spaventato a confessare la sua colpa.

La maestra accoglieva la confessione con indulgenza, ma egli insisteva: «L’ho proprio picchiato, picchiato forte!»

«Sì caro; capisco, tu volevi difendere Carlino; un’altra volta non lo picchierai più, vero?»

«No, ma intanto l’ho picchiato, oh signora, l’ho proprio picchiato!» e si guardava le sue grosse mani con un’espressione di rimprovero, come a chieder loro conto di ciò che avevano fatto.

Il giorno dell’esame fu un trionfo per Natale. Le mamme sedute torno torno all’aula, affacciate agli usci e alle finestre del piano terreno, non staccavano gli occhi da quel ragazzo più alto di tutti che aveva una fisionomia più da bimbo di tutti gli altri.

«Natale, aiutami a tirare avanti la lavagna,» diceva la signora maestra. «Natale, stacca quel cartellone; Natale, va a prendere i gessini, cala quella tenda!» Pareva l’assistente della maestra, e tutti trovavano la cosa naturale. Sebbene grande e grosso egli si moveva pronto, disinvolto, facendo ogni cosa con una tranquillità, e una precisione ch’era un piacere a vederlo. E, più strano e ammirevole, era il vedere come non s’accorgesse d’essere preferito; pareva pensasse: sono il più grande, dunque è giusto ch’io faccia quello che gli altri non potrebbero fare.

Chi avesse ben osservato si sarebbe accorto ch’era lui che dava l’intonazione alla classe, com’era il suo vocione che dava la prima nota nel saggio di canto. Quando un bambino interrogato esitava, non trovando le parole, volgeva gli occhi verso Natale quasi invo-