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Ma io spero che lei, così brava, saprà far capire a tutti questi bambini....»
Sul viso della maestra passò come un lampo d’ironia. «Sì, spero di riuscire a far capire al suo Natale che chi è più forte deve essere più buono.»
«Oh se lo sa! non è vero, Natale?» disse Grazia posando la mano sulla testa del suo figliolo. «Ho tanto pregato Dio per questo, fin dal giorno che è nato.»
«Bene, bene,» disse un po’ bruscamente la maestra, e i suoi occhi cercarono di nuovo la piccola Raffaella e fu stupita di vederla col visetto tutto rosso, illuminato da una gran gioia. Ella fissava Natale come per dirgli: «Oh che piacere! sei arrivato! staremo sempre insieme ancora!»
Ma Natale le aveva lanciato un’occhiata seria per farle intendere che non bisognava far sciocchezze.
Grazia si congedò e uscì, dopo avergli accarezzato di nuovo la testa, ed egli rimase ritto in mezzo alla stanza, col suo panierino in mano e gli occhi fissi, attenti sulla signora maestra.
«Va laggiù; nell’ultimo banco» disse lei, «in quello vuoto.»
Quello vuoto! solo! anche a scuola! ma perchè?
Tutti i bambini e tutte le bambine si erano voltati a guardarlo ed egli non guardava nessuno, ma il suo viso era diventato pavonazzo e qualche cosa lo strozzava in gola.
«Ma perchè si sono voltati? io non faccio niente! ma io non ho mai fatto male a nessuno!... Perchè nessuno viene nel banco con me? ma io non mordo, io non sono una bestia cattiva!» pensava, e intanto dal fondo della sua anima tranquilla e buona ribolliva, si gonfiava qualche cosa come una schiuma