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coli di lui e magrini temevano ch’egli potesse far loro del male.... Aveva dunque paura di far del male e provava una gran soggezione della sua robustezza, della sua forza. A volte diceva con gran desolazione: Ma perchè sono così grosso? e se ne vergognava come di una mostruosità. Egli non era di quei soliti bambini robusti dei quali si dice: non par vero che abbia cinque anni, ne dimostra otto. No, il suo viso grassoccio, le sue manotte corte, tutto il suo corpo era da bimbo di cinque anni, ma visto attraverso a una lente che lo ingrandiva: pareva uno di quei puttini più grandi del vero che si vedono scolpiti in certe chiese.

«E poi se faccio male agli altri bambini?» diceva quella mattina prima d’uscire.

«Abbi riguardo quando li pigli per mano, quando li carezzi, quando passi loro vicino, e vedrai che tutti ti verranno intorno senza paura,» rispose Grazia.

«Ma, loro mi vedono forse una faccia da lupo?»

«Ma no, no, caro, vedono bene il tuo caro faccione da bimbo buono! Non pensarci più; vedrai che il tuo vicino di banco ti vorrà subito bene.»

Ma Grazia ci pensava lei più del bambino e si sentiva così nervosa quella mattina, che le fu impossibile di mangiare.

«Signora maestra» disse colla sua vocetta gentile inchinandosi, «le porto mio figlio: io spero che saprà farsi voler bene e ch’ella sarà contenta di lui. A vederlo pare un bambino di scuola elementare, ma ha appena compiti i cinque anni. Finora però la sua robustezza non gli ha portato fortuna. È troppo grosso e forte per poter stare coi bambini della sua età, e troppo bambino per saper stare coi ragazzi.