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276 istorietta amorosa

roso inchino pigliata licenza dalle sue care compagne, se n’andò in casa, e fattasi alla finestra, vedendo Ippolito, domandò una sua vicina chi lui fusse. Intese come lui era figliuolo di messer Bondelmonte Bondelmonti; della qual cosa ella assai ne fu dolente e grama, e partita dalla finestra, se n’andò in camera dolendosi della fortuna. E quanto più era impossibile il vedersi spesso, tanto maggiormente cresceva l’amore d’ogni parte, per modo che la infelice Leonora alcuna volta rinchiusa in camera sola, lamentandosi dell’amore diceva: «O iniqua e crudelissima fortuna, nemica d’ogni piacere, come sofferisci tu che tante pene in me alberghi e riposi? Perché non umili tu li cuori delli nostri padri? Perché quello amore che è in fra noi, non è in fra loro? O dispietata sorte! O duro caso! Perché tanta asprezza, perché tanta crudeltà ne’ cuori delli nostri padri! Perché l’antiqua inimicizia, perché le antique discordie nacquero mai in fra gli nostri passati? Perché non s’estinguono, che tanto fuoco quanto il mio almeno si pascesse del vedere?». E in simili e altre dolorose parole la valorosa fanciulla e la notte e ’l giorno con le lacrime consumava.

Ippolito, che non era punto con manco fuoco di lei, sanza dire alcuna parola, conoscendo non poter vedere quella ch’egli sempre teneva scolpita nel cuore, di dolore e malinconia tutto si consumava, per modo che ogni piacere gli era tornato in tedio, e abbandonati tutti li suoi amici e compagni, poco usciva di camera; anzi sempre sanza alcuna consolazione si stava in sul letto, bestemmiando la crudele disposizione de’ fati, maladicendo la perfida inimicizia paterna: «Ahi fiero e crudo amore, ingrato di tanta umiltate quanta è stata la mia, che ’l primo giorno che ti piacque, mi sottomisi al tuo giogo! Perché di tante pulcelle quante bellissime sono nella nostra città, non mi hai messo nel cuore l’amore come di questa, dove tu come aspro e crudele insieme a lei e a me fai abbondare angosciosi pensieri? Questo certo da te non meritava la nostra fede. Maledetto sia il giorno che gli occhi miei guardarono tanto alto, poiché di lì nascere doveano tanti tormenti e tanti martiri. O dispietata fortuna, come sofferisci tu che la mia tenera gioventù in lacrime si consumi? Certo io veggio la mia vita finire per l’amore di quella che tanto m’ama. Piacciavi, o