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262 de amore

di fizioni e perversità le femmine, a me non tanto dolerà avere così scrivendo lasciato e perso della mia consuetudine e buona grazia quale, come sai, sempre ebbi apresso ciascuna femmina, quanto mi sarà voluttà e contentamento ancora con mio danno averti giovato. E se tu più oltre teco statuirai la tua amata non però più che l’altre essere divina e sanza macula, e se fra te ripenserai quante acerbità e gravissime molestie in te già più e più mesi per sua stranezza e impietà dentro al petto e animo tuo si ravviluppino e ogni tuo onesto pensiero e impresa perturbino, certo a te stessi facile persuaderai questo, che da lei a te poco sia riferita degna benivolenza o merito, e verratti in tedio tanto esserli suggetto amando. E se meco così affermerai tutte le operazioni delle femmine essere piene d’infinita fizione, certo conoscerai te da lei nulla essere amato. E a così persuaderti, non mi pare da non ricordarti a te riduca a memoria quant’elle, tuttora aspettando in grembo quello che sopra tutte l’altre cose loro si dà dolcissimo, gratissimo, disideratissimo, pur non restano dirti: «Ora non più; lieva su», come se tu così satisfacendogli troppo grandemente le ’ngiuriasse. Da questo puoi lungo e diffuso pensare quale nell’altre meno grate cose si porgono da credere loro o da non sempre riputarle fingarde e busarde. Non dubitare, adunque, questa tua così teco finge d’amarti; però che subito poi che a te sia indutto nell’animo nulla da lei te essere amato, veggo te sciolto e libero da’ legami d’amore. Amando, niuno suole essere laccio più forte e più tenace che stimarsi amato. Fuggi adunque così credere, che chi quando amasse mostrerebbe non amarti, mostrando amarti non finga per straziarti. E così subito potremo insieme godere seguendo vacui da tanta molestia li nostri ottimi studi, e darci seguendo ad acquistar fama e laude, qual cosa così amando tu pruovi quanto si possa poco e raro asseguire.

E debbi certo assentire quanto abbiamo insieme veduto, che in trama con femmine alcuno mai si truova piacere degno o certo diletto; disagi sì molti e troppo grandissimi, tormento sì assiduo e inestimabile, dispetti sì, e onte all’animo tuo sanza fine e sanza numero. Che certo ben quando le nostre di sopra verissime trascorse ragioni non confirmassono così essere gli animi femminili