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uxoria 337



23.     «Soffriva nostro padre e voi imprima, fratelli miei, con molta pazienza; e dove potete maravigliarvi ancora non poco della mia equità e modestia, mai con niuno di voi e meno con altri a tanto vostro tedio me turbai: solo mi parea bastassi dirvi, non vo moglie. Né mi curai allegarvi queste ragoni le quali ora v’adussi, perché vedea pronte le vostre risposte: non vogliamo sia tu in miglior sorte che noi. E insieme a me parea non comodo ch’io dicessi a te cosa qual tu parte fuggivi sapere, e parte meglio di me sapevi. E a te, uomo vigilantissimo, Acrino, e diligentissimo, non arbitrava poterti dire cosa la qual tu non bene sapessi. E qual fu miglior consiglio, padri, el loro o il mio? Tu, Mizio, per non aver in casa el tedio e mattanamento d’una femmina, non ti curasti udire fuori cosa a te molesta. E tu, Acrino, per non abbatterti fuori a chi forse parlasse di cose a te ingrate, soffristi in casa infinite discordie, continuo tumulto e turbolenza: ella si dolea degli uomini, della fortuna, delli dii, accusava se stessi che più volessi vedere questa luce e tanta sua miseria, né meritare con sue dote e bellezze essere trattata peggio che la cognata la quale filice vivea libera e soluta, sé essere peggio che serva, a quale non sia lecito, nonché non favellare e darsi sollazzo, ma