Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. I, 1960 – BEIC 1723036.djvu/347


libro quarto 341


Lionardo. Non interruppi questa tua brevità pregna di maravigliose sentenze e ottimi essempli, donde a qualunque parola più e più cose sentiva degne d’essere notate e lodate. Troppo a me, Adovardo, troppo mi satisfacesti; ma non ti concedo essere a pieno fatto assai a quanto acadea dire della amicizia.

Adovardo. Dicemmo con che arte s’acquisti, come s’accresca, in che modi si rescinda, che cagion sia da racquistarla; e ora discurremmo qual industria s’apruovi a conservarla. Che più avevi tu da desiderarvi?

Lionardo. Nulla, se coteste tutte a pieno fossero come furono esplicate. Ma vedi quanto da te aspetti. Piero a noi insegnò acquistar benivolenza apresso de’ signori; da te siamo fatti dotti in ogni altra ragione amatoria. Chi da te ottimo maestro delle amicizie, sendo in principato, chiedesse divenire erudito in quello quale quasi principe niuno par che sappia, dico ben farsi amare, stimo sarebbe da tua umanità troppo alieno negarli tanta utilità.

Adovardo. Oh! felicissimo quel principe quale così vorrà acquistarsi benivolenza, e meno essere temuto che amato, quanto con una sola facile e piena di voluttà cosa possono tutti, ma non curano in questa parte insieme acquistarsi benivolenza e lode immortali.

Lionardo. Aspetto udire quale essa sia.

Adovardo. Che dice Carlo?

Lionardo. Dice messere Antonio Alberti esser qui giunto per salutar Lorenzo.

Adovardo. Adunque, e domani vi satisfarò.