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164 i libri della famiglia

sentono pieni d’acquistare e da ogni parte predare questo e quello. Non stimassi tu però essermi grata alcuna superchia strettezza. Ben confesso questo; a me pare da dislodare troppo uno padre di famiglia se non vive più tosto massaio che godereccio.

Lionardo. Se gli spenditori, Giannozzo, dispiaciono, chi non spenderà vi doverà piacere. L’avarizia, bench’ella stia, come dicono questi savi, in troppo desiderare, ella ancora sta in non spendere.

Giannozzo. Bene dici il vero.

Lionardo. E l’avarizia dispiace?

Giannozzo. Sì troppo.

Lionardo. Adunque questa vostra masserizia che cosa sarà?

Giannozzo. Tu sai, Lionardo, che io non so lettere. Io mi sono in vita ingegnato conoscere le cose più colla pruova mia che col dire d’altrui, e quello che io intendo più tosto lo compresi dalla verità che dall’argomentare d’altrui. E perché uno di questi i quali leggono tutto il dì, a me dicesse «così sta», io non gli credo però se io già non veggo aperta ragione, la quale più tosto mi dimonstri così essere, che convinca a confessarlo. E se uno altro non litterato mi adduce quella medesima ragione, così crederrò io a lui senza allegarvi autorità, come a chi mi dia testimonianza del libro, ché stimo chi scrisse pur fu come io uomo. Sì che forse io testé non saprò così a te rispondere ordinato quanto faresti tu a me, che tutto il dì stai col libro in mano. Ma vedi tu, Lionardo, quelli spenditori, de’ quali io ti dissi testé, dispiaciono a me, perché eglino spendono sanza ragione, e quelli avari ancora mi sono a noia, perché essi non usano le cose quando bisogna, e anche perché quelli medesimi desiderano troppo. Sa’ tu quali mi piaceranno? Quelli i quali a’ bisogni usano le cose quanto basta e non più, l’avanzo serbano; e questi chiamo io massai.

Lionardo. Ben v’intendo, quelli che sanno tenere il mezzo tra il poco e il troppo.