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94      Aggiustare il mondo


Si fornisce alle università più prestigiose un accesso agli articoli scientifici, ma non si dà la stessa possibilità ai bambini nelle zone povere del mondo.

Tutto ciò, nel pensiero del giovane, è oltraggioso e inaccettabile. E allora, si domanda, che cosa possiamo fare?

Un primo, grande problema, scrive nel Manifesto, è che le grandi società detengono i diritti d’autore su gran parte dei contenuti e generano profitti proprio facendo pagare una quota, spesso ingente, per accedere alle informazioni. Il tutto avviene con modalità contrattuali ritenute perfettamente lecite dagli ordinamenti giuridici.

Però, aggiunge, possiamo comunque fare qualcosa: possiamo iniziare a combattere per rispondere a questa situazione, dal momento che tutti coloro che hanno accesso a queste risorse e a questi contenuti – studenti, bibliotecari, scienziati – hanno ricevuto un dono, e sono in una posizione di privilegio.

Si possono cibare ogni giorno a questo banchetto della conoscenza, scrive il giovane in maniera accorata, quando il resto del mondo è lasciato fuori, e non può accedervi.

Ma non è giusto, moralmente, che queste persone si tengano questo privilegio per sé stesse. Nasce, in loro, un dovere di condividere questo materiale con il resto del mondo, di scambiare le password e i codici di accesso con i colleghi, di scaricare il materiale per soddisfare le richieste di amici.

Aaron vuole, in definitiva, che tutte queste persone che elenca, e che operano in concreto nel settore della cultura e della produzione di contenuti, contribuiscano a liberare quell’informazione che è stata chiusa a chiave dagli editori. E che la condividano, indipendentemente da quanto dispone la legge.

Il problema, riflette Aaron, è che un’azione simile, clandestina, è definita come “pirateria” o “furto” in gran parte degli ordinamenti, dove la condivisione di un “pezzetto” di conoscenza è equiparato al furto vero e proprio di un bene. La condivisione, però, non deve essere vista come immorale e, anzi, scrive, deve diventare un imperativo morale: solo chi è accecato dall’avidità e dal profitto non condivide beni con i propri amici o rifiuta a un amico la possibilità di fare una copia di un contenuto.

Si pensi che in uno dei primi post del suo blog, nel lontano 4 febbraio del 2002 (“Arrgh, pirates”), Aaron aveva contestato proprio il termine “pirate”, e il suo uso non corretto in ambito digitale:

Mi sono spesso lamentato, con le persone, per l’uso che fanno del termine “piratare” per intendere “condividere”.
Quando la gente si lamenta dei film “piratati”, intende davvero insinuare che condividere i film con qualcuno sia l’equivalente morale di attaccare una nave? Tuttavia, man mano che il termine si diffonde, non posso fare a meno di chiedermi se la connotazione negativa si esaurirà: lo vediamo persino presente nel dizionario come “Fare uso o riprodurre (un’opera altrui) senza autorizzazione”. «Ehi Johnny, ho una copia pirata di Shakespeare per te!»