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70      Aggiustare il mondo

avido, estremamente pratico e poco riflessivo e teorico – gli aveva fatto rimpiangere spesso il mondo, a dire il vero sovente idealizzato, dell’università.

L’accademia, notava Aaron, vantava l’immagine comune e condivisa di luogo idilliaco, ricco di persone intelligenti. Un luogo che, sulla carta, era sempre stato, per lui, molto attraente, anche perché vi era la sensazione diffusa che, stando in un ambiente come quello, si potesse diventare più intelligenti semplicemente “per osmosi” e, soprattutto, ci si potesse immergere in un mondo di “continua geekness”: un luogo magico, scrive, dove gli hacker si ritrovano e si divertono, magari costruendo, nel tempo libero, sofisticatissimi robot. Ma erano considerazioni solo sulla carta, e che attraversavano i suoi pensieri di quel momento.


Non è che non mi piaccia il mio lavoro attuale – scrive Aaron sul suo blog – È solo che mi sembra di diventare, ogni giorno che passa, più stupido nel portarlo avanti. O, almeno, di non diventare, ogni giorno, sempre più intelligente come, invece, dovrei. Questa mia passione per il mondo accademico non è nuova. Per qualche motivo, però, in questo periodo la sento più forte. Ho iniziato a scaricare dal web tutti i programmi delle lezioni, e a fare i compiti di notte. Ho iniziato a pensare a come potermi intrufolare nei vari corsi, e come frequentare alcuni professori. A Cambridge, per di più, questo paradiso sembra così vicino. Così accessibile. Eppure – continua il ragazzo – non è affatto un paradiso. Quando sono stato in università, il conformismo diffuso, la mancanza d’interesse per il lavoro vero e proprio, le lotte politiche interne e gli incarichi inutili mi hanno fatto passare la voglia. Ho un appuntamento a pranzo con un laureato: mi racconta delle liti interne al campus, dell’eccessiva specializzazione, degli alti tassi di abbandono, dell’insicurezza diffusa tra gli studenti. Torno, poco dopo, negli uffici del consorzio W3C, e mi affaccio al balcone. In basso, vedo Tim Berners-Lee che discute con un gruppo di ragazzi i dettagli di un progetto che, presumibilmente, hanno accettato da portare avanti come lavoro estivo. Una volta, ero io uno di quei ragazzi. Uno di quelli che lavoravano lì. E penso, in quel momento, al motivo per cui me ne sono andato, e perché mi manca quell’ambiente. Ormai mi meraviglio dell’inutilità e dello spreco. Sono stanco. Mi sento più triste, e mi chiedo come ho fatto a perdere così tanto, così in fretta. Voglio provare nostalgia. Voglio avvertire la sensazione che ci sia un luogo, a un paio di fermate di metropolitana da me, dove tutto andrà bene. Un luogo migliore. Un luogo in cui dovrei essere. Un luogo in cui posso tornare. Ma – anche solo visitandolo – i fatti sono evidenti. Questo luogo non esiste. Non è mai esistito. Provo nostalgia, in sostanza, di un luogo che non è mai esistito.


La scelta del college, che è uno dei momenti chiave nel percorso educativo di ogni adolescente nordamericano, fu, per Aaron, piuttosto problematica.

Quando venne il momento di individuare la scuola più adatta per lui, la sua famiglia volò a Cambridge, nel Massachusetts, e visitò l’Università di Harvard.


È un campus sontuoso ed elegante – ricorda Aaron sul suo blog – L’istituzione scolastica gode di una reputazione eccezionale. Il quartiere è uno dei più affasci