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3. L'incontro con Lawrence Lessig     51


Oggi, per remixare la cultura, nota Lessig, si usano, però, i computer: le macchine diventano un mezzo per parlare, per fare arte – usando suoni e immagini – e le tecnologie possono permettere una rinnovata esplosione del lavoro creativo.

Ora, conclude lo studioso, non esistono più limiti tecnici, in questo tipo di creatività, se l’opera che sarà oggetto d’elaborazione è liberamente disponibile. Ma quali scenari si delineano, invece, se si vogliono remixare contenuti che sono protetti da copyright, magari unendoli a contenuti di nostra produzione?

In breve, per Lessig, ciò non è più possibile. In conformità alle norme odierne, remixare contenuti digitali protetti da copyright significa violare i diritti del detentore di copyright.

Ecco, allora, che un determinato tipo di creatività, che era diffuso (e consentito) sin dalle origini della cultura umana, rischia di essere smarrito per sempre nel mondo elettronico, man mano che i contenuti digitali protetti occuperanno sempre più spazio nella vita del cittadino comune e nell’ambiente sociale in generale.

Questo è, chiaramente, il collegamento tra il movimento del software libero e quello della cultura libera.

In tutti e due vi era, in origine, una pratica condivisa che era, essenzialmente, priva di vincoli. In tutti e due si è registrato, poi, un cambiamento nell’ambiente, che ha provveduto a rimuovere quella libertà.

Nel software libero, il cambiamento fu il diffondersi del codice proprietario. Nell’ambito della cultura libera, il cambiamento è stato portato dalla radicale espansione della regolamentazione normativa e politica del copyright.

La tecnologia ha reso entrambi questi cambiamenti possibili, e sia il movimento del software, sia quello della cultura libera, a loro volta, si ripromettono di usare la tecnologia, e la disciplina sul copyright, per ristabilire la libertà che il codice e la cultura proprietari avevano rimosso.

Ognuno di questi due movimenti persegue, così, il fine di proteggere la libertà creativa degli utenti dai rischi connessi all’estremizzazione di idee proprietarie e di chiusura.

Nota Lessig, però, che quando la maggior parte delle persone comuni si avvicina a simili movimenti di liberazione, la reazione iniziale è quella di considerarli, entrambi, quali utopie irrealizzabili: si legge “libero”, ad esempio, come un qualcosa chiaramente contrario ai principi comuni dell’economia.

L’economia del software libero, ci tiene a precisare Lessig, è però rimasta una vera e propria economia, nonostante i dubbi iniziali: produce benessere, ispira crescita, diffonde servizi ad ampio raggio nella società, funziona in maniera diversa dall’economia del software proprietario, è vero, ma è una economia anch’essa.

Milioni di dollari sono stati investiti in questa direzione per farla fiorire, e lo stesso modo di ragionare deve essere utilizzato per il concetto di “cultura libera”.