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1. Un bambino e un computer     35


L’occasione di questa intervista gli fece anche spendere alcune parole, e riflessioni, sul suo profilo da bambino.

Quando ero bambino – ricorda – pensavo molto a ciò che mi rendeva diverso dagli altri bambini. Non credevo di essere più intelligente di loro e, di certo, non avevo più talento. E non posso certo affermare di essere un lavoratore più impegnato e diligente: non ho mai lavorato, ho sempre cercato di fare cose che mi divertissero. Invece, ho concluso che ero più curioso, ma non perché fossi nato così. Se osservate i bambini piccoli, sono tutti estremamente curiosi, sempre in esplorazione, e cercano di capire come funzionano le cose. Il problema è che la scuola fa svanire tutta questa curiosità. Invece di lasciarti esplorare le cose da solo, la scuola ti dice che devi leggere particolari, e specifici libri, e rispondere a particolari, e specifiche, domande. E se si cerca di fare qualcos’altro, si finisce nei guai. Sono poche le persone la cui curiosità innata possa sopravvivere a un ambiente di questo tipo. Ma, per un caso fortuito, la mia ce l’ha fatta. Ho continuato a essere curioso, e ho seguito la mia curiosità.

La curiosità, ribadisce, connoterà tutta la sua vita, tracciando un filo che attraversa tutti i suoi progetti.

Prima mi sono interessato ai computer, che mi hanno portato a interessarmi a Internet, che mi ha portato a interessarmi alla costruzione di siti web di notizie online, che mi hanno portato a interessarmi agli standard (come RSS), che mi hanno portato a interessarmi alla riforma del diritto d’autore (dato che Creative Commons voleva utilizzare standard simili). E così via. La curiosità si auto-alimenta: ogni nuova cosa che s’impara, genera ogni sorta di componenti e connessioni diverse, che poi si desidera approfondire. Ben presto ci s’interessa a sempre più cose, fino a quando quasi tutto sembra interessante. E quando è così, imparare diventa davvero facile: si vuole imparare quasi tutto, perché non c’è nulla che non sembri davvero interessante.

Aaron conclude l’intervista con una buona dose di umiltà:

Sono convinto che le persone che definiamo “intelligenti” siano soltanto persone che, in qualche modo, hanno goduto di un vantaggio in questo processo. Mi sembra che l’unica cosa che ho fatto davvero sia stata seguire la mia curiosità ovunque mi portasse, anche se questo ha significato fare cose folli, come lasciare la scuola o non accettare mai un lavoro “vero”. Non è facile – i miei genitori sono ancora arrabbiati con me perché ho abbandonato la scuola –, ma per me ha sempre funzionato.