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224      Aggiustare il mondo


Un secondo punto ispirato dal tragico destino di Aaron, e che ha alimentato un interessante dibattito, è su come la società e il sistema della giustizia trattino i geni, gli eccentrici, chi è, e vive, fuori da uno schema, e come, palesemente, detto sistema abbia, in questa circostanza, fallito.

Attivismo, azioni a volte avventate, violazione delle regole a fin di bene, possibili spinte autodistruttive, che portano ad azioni che appaiono giuste ma che violano la legge, sono tutti elementi che il sistema della giustizia penale dovrebbe affrontare e trattare con particolare garbo e delicatezza, proprio per la possibile assenza di intento ed elemento criminale.

Tutta l’azione di Aaron, per tutta la sua vita – ed era sufficiente informarsi, per conoscerlo un po’ più a fondo – era votata alla disobbedienza a leggi considerate sbagliate. Entrare in quello sgabuzzino del MIT era, per lui, una forma di disobbedienza civile. Così come il collegarsi a una rete per “liberare” degli articoli.

Aaron, con il suo modo di agire, sfidava, non commetteva crimini. Spesso con azioni innocue, che non distruggevano sistemi, né causavano danni economici. Azioni pensate, spesso, per generare fastidio. Un costante operare al limite, tipico della cultura hacker.


Evidentemente, non si è trovato a vivere in un mondo pensato per lui. Era in un mondo ancora fermo agli anni Ottanta del secolo scorso, terrorizzato dalle azioni dei primi hacker e con leggi pensate per veri criminali.

Era il mondo, evidentemente, che aveva in mente Carmen Ortiz, la procuratrice che vedeva il computer come pericoloso ex se, che interpretava l’informatica come uno strumento per generare minacce nella società, indipendentemente dalla presenza di un’organizzazione criminale. Oppure i palazzi di giustizia, e i corridoi degli uffici di Heymann, erano diventati vero e proprio terreno di sfida, una questione personale che richiedeva un’esibizione di muscoli impressionante per schiacciare un ragazzo che, a loro avviso, meritava di essere punito. E questa esibizione di muscoli e di manette portò quel ragazzo a consumare sé stesso, sia fisicamente sia economicamente, per cercare di venire a capo di questa vicenda. Gli innumerevoli progetti che lanciava ogni giorno non erano sufficienti, evidentemente, per non pensare al suo futuro.

Dopo il suicidio, apparvero molti articoli sulla stampa, che accusarono direttamente sia il procuratore distrettuale Carmen Ortiz, sia il suo assistente Stephen Heymann – i magistrati che avevano in gestione il caso – di aver preso Aaron come esempio nell’era di WikiLeaks e di Anonymous, e di avere organizzato una campagna coordinata per spaventare, allo stesso tempo, tutti i giovani attivisti che stavano scoprendo la potenza di Internet per cambiare il sistema, anche grazie a Julian Assange e al collettivo hacker.