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21. Libertà del codice, della scienza e della cultura    211


In questo quadro che non voleva cambiare, Aaron individuò, come primo suo nemico, il mondo dell’editoria accademica e i prodotti scientifici che uscivano dalle università con una chiara connotazione commerciale.

Non comprendeva il motivo per cui, a fronte di finanziamenti quasi esclusivamente pubblici, quel patrimonio di sapere collettivo non fosse reso libero per tutti i cittadini.

La cessione sistematica dei diritti d’autore ai grandi editori operava, diceva Aaron, una vera e propria privatizzazione della conoscenza e generava dei paywall – delle barriere di pedaggio– che avevano il solo fine di aumentare sempre di più i profitti di quelle società.

Aaron incolpava, in primis, gli accademici stessi. I professori, scriveva, sanno benissimo come questa privatizzazione di tutta l’attività di ricerca finanziata con fondi pubblici sia sbagliata in origine, ma sono, comunque, condizionati, nel loro futuro accademico, da un simile meccanismo e, soprattutto, dalla possibilità di pubblicare su riviste riconosciute come prestigiose e che sono offerte a pagamento. Per cui continuano ad alimentare questo mercato.

Questo il motivo per cui, nel suo Guerrilla Manifesto, inviterà a liberare tutta la letteratura scientifica mondiale e agirà di conseguenza almeno in due occasioni, con PACER e poi, più specificamente, con JSTOR.

Il governo, come si diceva, è intervenuto pesantemente nel caso JSTOR, anche perché era consapevole che si stava toccando un ambito commerciale particolarmente delicato: non vi era, soltanto, il timore degli hacker e delle loro azioni, ma era coinvolta, anche, la potentissima industria del copyright e degli editori commerciali, che chiedeva esplicitamente da tempo un intervento sempre più restrittivo del legislatore. La violazione dei diritti d’autore doveva, pertanto, essere considerata un crimine sempre più grave.

Ultimo, ma non ultimo, Aaron notò come in alcuni casi vi fosse un doppio pagamento: l’autore pagava per pubblicare su una rivista prestigiosa e, subito dopo, l’editore domandava all’università o al centro di ricerca di quell’autore un secondo pagamento per accedere ad altri articoli di quella rivista non open acess. Si era creato un circolo vizioso, insomma, dal quale era complicatissimo uscire.

La morte di Aaron, e la sua passione per l’open access, ispirarono altri attivisti e, in particolare, galvanizzarono il progetto alla base di un respository denominato Sci-Hub, che si prefissò di “raccogliere il testimone” e di liberare tutta la letteratura scientifica mondiale, mettendo in linea decine di milioni di articoli di riviste e utilizzando, anche, sistemi di archiviazione decentralizzata a causa delle pressioni legali.

Alexandra Elbakyan, studentessa in Kazakistan, si rese conto, a un certo punto, come l’università che stava frequentando non potesse permettersi di pagare l’abbonamento a molte delle riviste che lei aveva necessità di consultare. Decise, allora, di scaricare sistematicamente articoli – domandando, anche, credenziali ad altri studiosi stranieri – per poi raggrupparli nel suo archivio online.