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21. Libertà del codice, della scienza e della cultura    209

nem come lo ha trovato per me. E il fatto che Jefferson l’abbia detto non lo rende vero - ovviamente le sue opinioni erano anche oggetto di discussione all’epoca. Ma quando i suggerimenti del nostro terzo presidente vengono definiti “autogiustificazione”, “egoismo”, “superficiali”, o quelli di un “idiota”, “disgustosi”, un “fraintendimento” della legge(!), e “immorali”, allora ci si deve fermare e chiedersi: che cosa sta succedendo?

Il movimento alla base dell’idea di open access è uno di quelli che ha rivestito un ruolo tra più importanti nella storia, e nelle motivazioni, di Aaron. Alcuni commentatori, dopo la sua morte, arrivarono persino a definirlo come un attivista che per l’open access aveva dato letteralmente la vita.

Il giovane credeva tantissimo in molti dei principi sostenuti dai teorici di questo movimento, tanto da rischiare più volte sanzioni, in prima persona, superando i confini dei termini di servizio delle grandi banche dati – con conseguenti, inevitabili guai giudiziari – per metterli in pratica.

Ancora oggi, a dieci anni di distanza, le idee alla base dell’open access sono estremamente affascinanti, e centrali, per il mondo della ricerca.

All’origine delle idee che Aaron aveva assorbito vi erano, probabilmente, i contenuti di alcune dichiarazioni formali che risalivano ai primi anni Duemila.

Ci riferiamo, in particolare, alla Dichiarazione di Budapest, alla Dichiarazione di Bethesda sull’Open Access in editoria e alla Dichiarazione di Berlino. Erano tutti testi che cercavano di veicolare, in estrema sintesi, l’idea, e l’esigenza, che i risultati di una ricerca scientifica finanziata con denaro pubblico dovessero essere aperti, pubblici e fruibili da chiunque senza alcuna limitazione.

Un approccio simile sarebbe stato immediatamente benefico per la società tutta. I lavori scientifici sarebbero stati, in particolare, più visibili e non confinati in oscuri centri di ricerca e sperdute biblioteche periferiche o, se messi in rete, accessibili solo a individui e istituzioni in grado di pagare. Si sarebbe alimentato un dibattito sui lavori, più visibili e, quindi, conoscibili (qui entrava in gioco, anche, il metodo scientifico della contestabilità, tanto amato da Aaron). Il web avrebbe, poi, facilitato incredibilmente accesso e ricerca di quei prodotti, amplificandone l’influenza e permettendo, allo stesso tempo, una maggior citazione di quei contributi.


Aaron amava notoriamente i luoghi pubblici che racchiudevano scienza e cultura. Quando si presentò davanti alla Corte Suprema, invitato da Lessig, si ritagliò mezza giornata di tempo per andare a visitare la Libreria del Congresso.

Per Aaron, l’idea di open access, unita all’idea di istituzione o ente pubblico, era la formula ideale per consentire non solo di valutare efficienza, merito ed eccellenza dell’istituzione per quanto riguardava la produzione scientifica ma, anche, per ripensare completamente gli accordi contrattuali con tutti gli editori che, a suo avviso, “cannibalizzavano” il settore pubblico proprio per ottenere