Pagina:Aggiustare il mondo - Aaron Swartz.pdf/204

204      Aggiustare il mondo


Harris cerca, innanzitutto, di ricavare, da tutti gli scritti del giovane, dei canali interpretativi ben definiti.

Non conoscevo Aaron abbastanza da poter fare ipotesi su come si sarebbe sentito riguardo ai contenuti del libro con i suoi scritti – nota lo scrittore – ma lo conoscevo abbastanza bene, tanto che chiamarlo “Swartz” mi sembra sbagliato. Ci siamo frequentati forse una manciata di volte, mi ha intervistato per il suo podcast. Quando si è ucciso, credo di aver provato più dolore di quanto ne avessi diritto, e ho cercato di non pensare troppo a lui. Aaron era così dedito all’impegno civile, che mi è stato impossibile separare il mio senso di perdita personale da quello collettivo. Anche se non eravamo d’accordo su molte cose, mi sento ancora parte di quel noi che contava su Aaron, almeno per quanto riguarda la sua presenza. “Il ragazzo che poteva cambiare il mondo” è un libro difficile da recensire. Sviscerare il pensiero di Aaron sui media, o sui flussi di denaro in politica, è brutto, come criticare i fiori a una veglia funebre. Invece di organizzare gli scritti cronologicamente, o anche cronologicamente all’interno delle sue sezioni tematiche (cultura libera, computer, politica, media, libri e cultura, e unschool), l’editore di The Boy ha fatto la scelta, discutibile, di frammentare, e disperdere, il percorso intellettuale di Swartz. Saltando da Swartz quattordicenne a quello ventunenne a quello diciassettenne, è difficile capire quali idee stia assorbendo e quali si stia lasciando alle spalle. La raccolta non presenta Swartz come un pensatore la cui evoluzione è importante per il resto di noi da capire; è un progetto elegiaco su un giovane che aveva un buon cuore, un potenziale illimitato e voleva aiutare le persone. Se non fosse per l’occasionale riferimento al suicidio di David Foster Wallace, avvenuto qualche anno prima di quello di Aaron, un lettore che prendesse in mano il libro potrebbe chiedersi cosa gli sia successo.

Harris affronta, se pur sinteticamente, tutti i temi trattati in questa raccolta di scritti di Aaron. In particolare, sembra essere interessato, soprattutto, all’unschooling, ossia alle teorie di Aaron sui difetti del metodo educativo tradizionale e, al contrario, sull’efficacia dell’auto-formazione.

Avrei voluto – nota con un pizzico di polemica – che la raccolta iniziasse con la sezione finale sull’“unschooling”. Essa comprende gli scritti di Aaron dell’età di 14 anni, quando prende la decisione di abbandonare la scuola superiore per diventare autodidatta, nonché una conferenza di un decennio dopo, intitolata, semplicemente, “Scuola”, che più di ogni altro passaggio del libro evidenzia le capacità di Aaron come studioso e intellettuale. Il volume è un diario dell’auto-formazione di Aaron; si può vedere il suo cervello muoversi. Fin dall’adolescenza, Aaron ha preso in mano le redini della propria istruzione e i risultati sono impressionanti, oltre che affascinanti. Un incontro con un documentario di Noam Chomsky su Netflix lo manda in tilt, le note a piè di pagina di Foster Wallace si ritrovano nei post del blog di Aaron. Cercare di trovare un modo per mettere il suo talento al servizio del miglioramento del mondo è stato, per Aaron, una componente vitale della sua autoformazione.