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19. "Legacy"


“Legacy” è il titolo di uno dei post più famosi – e articolati – di Aaron. Si tratta di un flusso di parole attraverso il quale il giovane s’interroga sul suo ruolo nel mondo e su ciò che vorrebbe lasciare all’umanità, prendendo ad esempio l’attività di altri studiosi e professionisti.

L’analisi di questo scritto giovanile – Aaron aveva appena compiuto diciannove anni – è il modo migliore per cercare di individuare, al termine di una vita così entusiasmante, problematica, affascinante e complessa, quale insegnamento si possa trarre, per nuove e vecchie generazioni, dal suo operato e per valutare l’attualità del suo pensiero a distanza di dieci anni dalla morte.

Le persone ambiziose – riflette preliminarmente Aaron – vogliono lasciare un’eredità. Ma che tipo di eredità vogliono lasciare? Il criterio tradizionale che viene adottato è che l’importanza di una persona si misuri in base alle conseguenze di ciò che fa. Questo è il motivo per cui, ad esempio, i giuristi considerati più importanti sono i giudici della Corte Suprema, dal momento che le loro decisioni sono in grado di influenzare l’intera nazione. I più grandi matematici sono coloro che fanno scoperte importanti, poiché le loro scoperte finiscono per essere utilizzate da molti altri matematici. Questo approccio mi sembra abbastanza ragionevole: l’eredità di una persona dipende dal suo impatto sul mondo e sugli altri, e quale modo migliore, per misurare, l’impatto se non valutare l’effetto di ciò che ha fatto una persona.

Aaron, però, non è completamente convinto di una simile affermazione. Sente la necessità di puntualizzarla ulteriormente, ribaltando la prospettiva ed esponendo alcuni casi storici a suo dire significativi. Per lui l’approccio alla vita deve essere di rottura. Tipico del mondo hacker è cercare sentieri non ancora battuti, elaborare teorie apparentemente assurde ma che, poi, si possono rivelare geniali. E nel suo ragionamento si trova, esattamente, questo modo di procedere.

Ma adottare questo approccio – continua – significa, anche, ragionare muovendo da una base sbagliata. La vera domanda, allora, non dovrebbe essere “quale effetto abbia avuto il vostro lavoro”, ma “come sarebbero le cose se non l’aveste mai fatto”. Le due prospettive non coincidono affatto. È, piuttosto, comunemente accettato come ci siano “idee il cui tempo è giunto”, e la storia tende a confermarlo. Quando Newton inventò il calcolo, lo fece anche Leibniz. Quando Darwin scoprì l’evoluzione attraverso la selezione naturale, lo fece anche Alfred Russel Wallace. Quando Alexander Graham Bell inventò il telefono, lo fece anche Elisha Gray, probabilmente prima di lui. In tutti questi casi, i fatti sono evidenti: se Newton, Darwin e Bell non avessero mai svolto il loro lavoro, il risultato sarebbe stato, sostanzialmente, lo stesso: avremmo egualmente il calcolo, le teorie evolutive e