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18. Il suicidio e le polemiche     173


prospettavano oltre trent’anni di prigione come conseguenza di un crimine che non aveva vittime.

Il collettivo hacker Anonymous, sempre nel mese di gennaio, prese di mira alcuni siti web del MIT, dove furono lasciati dei messaggi politici che parlavano di un abuso della giustizia, dell’ingiustizia del sistema criminale americano, dei crimini informatici e della ingiustizia nelle trattative prima del processo. Anche in questo caso, fu chiesta la riforma della normativa sul copyright.

Il 27 gennaio del 2018, sei anni dopo la morte di Aaron, il New York Post, in un articolo a firma di Isabel Vincent, metterà in correlazione il suicidio di Aaron con quello di James Dolan, un hacker di 36 anni, che si era suicidato anche lui in un hotel di Brooklyn il 26 dicembre dell’anno prima.

In effetti, gli aspetti in comune sono molti e inquietanti.

Dolan era un ex marine ed esperto di sicurezza informatica ma, soprattutto, era il secondo componente del team di programmatori e attivisti digitali che avevano sviluppato SecureDrop. Il primo era stato Aaron.

Dolan aveva un carattere molto particolare, ai limiti della paranoia. Viveva per essere il più invisibile possibile, in una società digitale che ormai era diventata un apparato di controllo e di sorveglianza. Non era praticamente presente online, tantomeno sui social network e, dopo il suo suicidio, iniziarono a circolare teorie complottistiche che univano la creazione del sistema SecureDrop a WikiLeaks e a episodi di stress post-traumatico dovuto a due missioni in Iraq.

L’hacker era già, dai suoi vent’anni, un esperto di cybersecurity, e poteva accedere a dati top secret. Un mese prima che il presidente Bush lanciasse Operation Iraqui Freedom (l’invasione dell’Iraq nel marzo del 2003), Dolan lavorava già sul campo come data network specialist per la marina.

Non furono mai rivelati, negli anni successivi, i suoi veri compiti in Iraq, anche nella seconda fase più sanguinosa, quella di Falluja, ma di certo tornò in patria con la volontà di aiutare i giornalisti a raggiungere l’obiettivo della trasparenza e della segretezza delle fonti. Rinunciò a lavori ben pagati per frequentare le varie redazioni di quotidiani, al fine di insegnare a usare SecureDrop. Quello era diventato il suo obiettivo: la protezione dei whistleblower.

Furono in tanti, in tutto il mondo, a rendere pubblico il proprio cordoglio per la morte di Aaron e a lanciare accuse, più o meno esplicite o velate, all’accusa e all’intero sistema giudiziario.

Intervennero nel dibattito avvocati e informatici, politici e scienziati, programmatori e semplici utenti, bibliotecari e attivisti. Ognuno con il suo ricordo e la sua interpretazione dei fatti.

Vi sono, però, tre posizioni particolarmente interessanti, che vale la pena di analizzare con cura.

La prima è quella di Lawrence Lessig, amico e mentore di Aaron. La seconda è quella di Danah Boyd, un nome importante nell’attivismo digitale e nel mondo