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17. Le strategie processuali     157


a chiunque si colleghi alla rete del MIT). Il governo presentò opposizione a queste contestazioni il 16 novembre 2012.

Un evento importante, e assai significativo, nelle vicende processuali di Aaron è il disinteresse di JSTOR nel perseguirlo per i download.

Mentre l’accusa, infatti, si accaniva e costruiva un castello processuale sempre più aggressivo, il soggetto che si poteva ritenere il principale danneggiato dalle sue azioni – ossia la banca dati che era, in un certo senso economico, “proprietaria” di tutti quegli articoli – si chiamò clamorosamente fuori e dichiarò di non voler perseguire Aaron e di non voler nulla da lui anche a titolo di eventuale risarcimento.

Per la difesa questo aspetto fu molto importante, e cercò di utilizzarlo nel tentativo di convincere l’ufficio del procuratore ad approdare a un accordo senza condanna penale e senza carcere. La strategia difensiva portò, a tal fine, a coinvolgere formalmente JSTOR nel processo, come “voce a difesa” di Aaron.

JSTOR, dal canto suo, si era affidata sia a un consulente legale interno, sia a uno studio professionale esterno; lo studio legale Debevoise & Plimpton di New York.

Facendo seguito a un mandato di comparizione, i legali di JSTOR si videro obbligati a fornire al procuratore tutti i dati interni del loro sistema, che avevano tenuto traccia delle azioni di Aaron (giorni e durata delle connessioni, numero di articoli scaricati, registri e file di log, flusso di richieste) e che ipotizzavano quasi 5 milioni di articoli scaricati.

Nei primi giorni, i legali di JSTOR erano preoccupati per il business del loro cliente: se quegli articoli avessero iniziato a circolare, ci sarebbero stati problemi sia di profitto immediato, sia di fiducia da parte degli editori che cedono gli articoli a JSTOR.

Al contempo, però, la società, dopo un fitto dialogo con la difesa di Aaron e con Aaron stesso, decise di non perseguire civilmente il ragazzo. Nel giugno del 2011 si raggiunse un accordo formale: Aaron dichiarò solennemente di non aver fatto alcuna copia dei dati che aveva scaricato da JSTOR e che la sua difesa aveva consegnato all’accusa l’unico disco fisso sul quale quei dati erano memorizzati.

JSTOR era, così, più che soddisfatto: i dati erano al sicuro presso gli uffici dell’accusa, non erano circolati, non vi erano altre copie in giro e la società aveva persino ricevuto da Aaron 26.500 dollari, come ristoro per le spese legali che aveva dovuto sostenere. Nella somma erano compresi 1.500 dollari, che il ragazzo versava a JSTOR come mea culpa e (simbolico) risarcimento di danni.

Una volta stipulato l’accordo, JSTOR iniziò a fare una pressione molto garbata, ma esplicita, sull’ufficio del procuratore tramite alcuni sui consulenti. Certo, dicevano, ogni decisione finale spetta al governo. Però loro non avrebbero, in alcun modo, mai domandato sanzioni penali e, anzi, a loro avviso, era meglio che non fossero mosse accuse nei confronti del giovane.