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17. Le strategie processuali


Dopo i fatti occorsi al MIT, il conseguente arresto e i primi adempimenti burocratici presso il commissariato di polizia nell’immediatezza dei fatti, la potente macchina processuale americana si mise in moto. E il quadro, per Aaron, si complicò notevolmente.

Da questo momento in avanti, la storia giudiziaria di Aaron è fatta di mesi e mesi di consulenze con avvocati, udienze annunciate e rimandate, tentativi di patteggiamento, coinvolgimento di autorità nazionali e federali, attenzione da parte dell’opinione pubblica, spese elevatissime, che arrivarono ad azzerare il suo patrimonio e i suoi risparmi, consigli buoni e meno buoni, tanta incertezza, periodi di stasi in attesa delle udienze o degli incontri e momenti, sempre più frequenti, nei quali il ragazzo era terrorizzato per le pene che si potevano prospettare e per la possibilità concreta di finire in carcere.

La situazione fu, sempre, kafkiana, di estrema incertezza e, a volte, oscurità. Una minaccia costante, che in alcuni periodi dell’anno accelerava e, in altri, lasciava un po’ più libero il ragazzo di occuparsi delle sue passioni e del suo attivismo. Sempre, però, con questo pensiero fisso.

Da un punto di vista giuridico, non è corretto parlare di “processo” nel caso di Aaron, perché un processo vero e proprio e come lo intendiamo comunemente – con udienze pubbliche, telecamere, gli avvocati in toga e un giudice che emette una sentenza – non ci fu mai.

Ci furono, però, due procedimenti aperti, che originarono serrate trattative tra accusa e difesa che, purtroppo, non portarono a nulla e l’attesa di un’udienza finalmente chiarificatrice che non sarebbe, però, mai arrivata.

Subito dopo il suo arresto, Aaron Swartz non rilasciò alcuna dichiarazione con riferimento a cosa avesse intenzione di fare con i documenti scaricati. Diventa, quindi, complicato comprendere realmente le motivazioni alla base di quell’azione.

Nel fascicolo degli inquirenti finirono, ça va sans dire, stralci di articoli e interviste che lo riguardavano, dove sollecitava a “liberare” scienza, cultura e documenti, e tutti i suoi scritti correlati alla necessità di una gratuità diffusa delle informazioni.

In più, vi erano, come è noto, precedenti di attività di download di grandi quantitativi di dati, in violazione dei termini di servizio di banche dati statali, con particolare riferimento al precedente caso PACER.

Nell’interpretazione dell’accusa federale, di conseguenza, il download era chiaramente avvenuto “allo scopo di distribuire una parte significativa dell’archivio di JSTOR attraverso uno o più siti di file-sharing”.